Il Counseling del cuore
Pubblicato il 23/08/2020
(di Marcella Danon )
Si sta diffondendo sempre di più in Italia il counseling, una nuova professione che insegna a valorizzare e potenziare le proprie capacità di ascolto ed empatia per metterle al servizio della crescita personale altrui, in tanti ambiti diversi.
E’ un atteggiamento professionale peculiare quello con cui il counselor si rivolge al cliente, a metà strada tra il rituale distacco del medico e il caldo coinvolgimento dell’amico del cuore, tra l’aritmetica competenza del commercialista e quella carismatica di un maestro. Carl Rogers stesso, in Psicoterapia di consultazione (ed. Astrolabio), definisce il counseling come “un legame sociale diverso da tutti quelli che l’individuo può aver sperimentato fino a quel momento”.
La necessità di incontro autentico
Che cosa caratterizza questa relazione, la cui specificità ha portato alla decisione di non italianizzare il nome della professione ma di mantenerne la dizione originaria – counseling – dal significato così insostituibile?
Proprio il fatto che, prima ancora di essere un rapporto professionale, il counseling è un rapporto umano. E’ un momento privilegiato di interazione in cui il counselor crea le condizioni per una comunicazione autentica, in cui il cliente si senta accolto, ascoltato, accettato, compreso. In un tipo di società dallo stile di vita sempre più frenetico, anonimo e automatizzato nelle relazioni interpersonali, diventa sempre più difficile per le persone crearsi situazioni in cui potersi aprire con un interlocutore senza doverne temere il giudizio, la considerazione superficiale, il disinteresse o addirittura il rifiuto.
Il counseling risponde a questa profonda necessità di incontro autentico e di condivisione di riflessioni inascoltate che spesso, una volta accolte da un orecchio attento, da sole si incanalano verso una possibile risoluzione adatta alla persona. Anche in questo il counseling si distingue da altre relazioni professionali, nel suo accompagnare dolcemente l’interlocutore verso l’esplorazione della sua situazione, sostenuto dal sottinteso che sarà lui stesso a poter trovare la soluzione di volta in volta necessaria, che è lui – il cliente – l’”esperto”, l’unico possibile esperto nell’arte di comprendere e dirigere la sua stessa vita.
Al di là della metodologia e delle tecniche usate dai diversi approcci nel counseling, questa priorità dell’incontro umano accomuna tutte le scuole, è l’essenza stessa della relazione di counseling. E’ qualcosa che non si impara sui libri ma che è la vita stessa a insegnare, è un atteggiamento interiore di profondo rispetto e accettazione di sé e dell’altro, che può solo nascere da un lavoro di crescita personale, da un aver sviluppato in prima persona quello che Adrian Van Kaam definisce “impegno esistenziale”: la consapevolezza della propria fondamentale libertà di fronte alle sollecitazioni della vita, della potenziale creatività di dare direzione e qualità alle relazioni e della responsabilità conseguente nei confronti della propria esistenza.
La formazione
La formazione al counseling, ai futuri professionisti in questa nuova professione destinata a diffondersi sempre di più, passa necessariamente per un percorso di scoperta, riconoscimento e consolidamento delle qualità umane presenti in ogni persona che abbia affrontato in prima persona un percorso di conoscenza, accettazione e integrazione personale. Un percorso che sviluppa, a sua volta, la sicurezza interiore necessaria per accompagnare un altro essere umano alla ricerca di sé, con la stessa tranquilla fiducia con cui una guida di montagna accompagna un escursionista sul suo percorso: fornendo stimoli ma sapendo attendere che l’altro sia pronto a coglierli, incoraggiando senza forzare, mettendo in guardia senza invadere, guidando, passo per passo, verso una crescente autonomia e una maggior fiducia in se stessi.
La fiducia
Il counseling è basato su una profonda fiducia nell’essere umano, nella sue capacità di autodeterminazione e nei suoi valori più alti potenzialmente presenti in ognuno. E’ questa fiducia che deve impregnare l’atteggiamento di ogni counselor, deve essere il messaggio subliminale che viene passato nella relazione per sostenere la persona nella sua ricerca di sé, con la tranquilla certezza che non spetterà mai al counselor dirle dovere deve andare e cosa deve fare.
Chi conduce l’incontro dovrà “soltanto” essere lì per l’altro, esserci davvero, con tutto se stesso con tutta l’attenzione, l’empatia, la partecipazione di cui è capace chi ha già fatto quella strada in prima persona e decide di intraprendere la professione del “facilitatore” del processo di crescita, della guida di montagna tra vette e abissi dell’animo umano, di catalizzatore di un ampliamento di punti di vista e di orizzonti.
Questa presenza, questa capacità di mettere a disposizione la propria umanità, questa autentica premura dimostrata nei confronti del proprio interlocutore, prima ancora di qualsiasi tecnica o strategia pianificata a tavolino, sono gli elementi fondanti, peculiari e vincenti di questa nuova professione di aiuto, del counseling.
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